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La mia recensione
Questo libro, come la malnata di Beatrice Salvioni, si svolge negli anni trenta in Italia. Mussolini è ammirato e temuto.
È l’inizio della guerra in Eritrea per più terre e ricchezza. Anche nei piccoli villaggi di Romagna si sente il cambiamento. Se è parte della storia di Nicoletta Verna, i suoi personaggi e la vita dura dei paesani, ma soprattutto delle donne, è il cuore di questo romanzo.
Adalgisa e Primo è una storia d’amore e odio che dura. Però Adalgisa non ce la fa più dopo due gravidanze non andate a termine e, stremata, non sopporta di non dare a Primo il suo tanto atteso figlio maschio. Dopo l’incontro con Zambuten, una specie di stregone/scienziato, Adalgisa sa cosa fare per avere figli vivi e vegeti. Ma le predizioni non sono buone per la prima perché sarà muta e poi anche handicappata. Eppure, lei vuole figli a tutti i costi. La sua primogenita viva e Redenta. Cammina ma non parla. Non è normale, ma è l’inizio di figli vivi e vegeti, chi se ne importa se la prima non è finita e perfetta? Il padre forse… la Fafina si prende già cura di Redenta. Perché se le previsioni di Zambuten sono vere, lei avrà anche la scarogna, ma avrà due sorelle normali. Ci sarà Margherita, poi Victoria. Saranno sempre più perfette, ma non risparmiate dalla vita, la guerra e gli uomini.
Forse come me vi chiedete perché tutte a Redenta dovevano capitare. L’epoca non aiuta. Gli anni trenta e anche l’arrivo di Mussolini. Le sue guerre coloniali in Eritrea e soprattutto un’Italia povera con poca educazione. Redenta è vittima di un sistema avvelenato già da prima. Le donne nelle campagne italiane sono poco più che un oggetto. Vengono considerate solo per i figli e anche questo non è sempre una protezione. L’uomo può picchiare e stuprare, tanto è sua moglie. Il tutto sta nel suo.
In questa cittadina, la perfidia della gente prende un tutt’altro senso.
Se mi è piaciuto e l’ho letto abbastanza velocemente, viene dal fatto che è costruito bene. La scrittura fluida e i personaggi, sia quelli atroci che quelli buoni o solo per metà, sono coinvolgenti e fanno provare emozioni forti. L’unica cosa è che la mia lettura è stata rovinata dall’intervista della scrittrice al Salone del Libro di Torino. L’intervista è stata un vero e proprio spoiler. Mi è mancato l’elemento sorpresa. E per questo che non vi parlerò di Vetro o di Bruno. Dovete solo sapere che Bruno veglia su Redenta finché può. Primo mancherà al suo dovere di padre ed Iris non ve la presenterò. Il suo percorso è pieno di bravure e di sentimenti remoti e controllati.
Rimprovero semplicemente questa sensazione di dolore e orrore intenso in crescita costante. È troppo. La vita era già dura lì per lì. Forse troppo e la fine attendibile. La perfidia è senza fine. Il dolore è fatto donna.
In breve,
è una storia italiana di Romagna ma potrebbe essere stata ovunque in Italia. È una storia di fascismo, ma anche di donne. Queste donne che non potevano difendersi da un marito o un padre violento. La guerra o la nascita del fascismo non ha fatto più diritti alle donne. Le ha rese ancora più dipendenti degli uomini.
Notazione
Citazione
« Tutti a Castrocaro stavano a vedere se morivo, ma io la sera ero sempre viva, e pure la mattina dopo. Mio padre venne a casa, mia madre disse: – La bambina sta bene, l’abbiamo battezzata –. Lui rispose: – Bon, – e si sedette a tavola senza guardare nessuno. Era ancora piú invisprito del solito.
La Fafina gli chiese: – Non volete neanche sapere come si chiama? Cosa diavolo avete per la testa?
Lui si versò da bere e disse: – Matteotti.
A Castrocaro era appena giunta la notizia che l’avevano rapito.
– Cos’è successo? L’hanno ammazzato?
– Spero di sí, cosí impara a farsi i cazzi suoi. »Extrait de
I giorni di Vetro
Nicoletta Verna
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