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Come l’arancio amaro di Milena Palminteri

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La mia recensione

Ne avevo sentito parlare, e le recensioni francesi erano entusiastiche. Così, la mia curiosità è cresciuta sempre di più. La Sicilia, l’inizio del fascismo, ma anche i segreti di famiglia: sono temi che mi conquistano facilmente. L’unica cosa che non potevo immaginare era che il libro fosse scritto in dialetto siciliano. Quando i romanzi vengono tradotti in francese, il dialetto si perde — e con esso una parte importante dell’anima del testo.

Per fortuna, non era il mio primo libro in dialetto siciliano. Mi ci sono abituata piano piano, e ho capito che era necessario: solo il dialetto poteva raccontare una Sicilia ancora indipendente e selvatica. Il Regno d’Italia era giovane, e il senso di unità nazionale non era affatto scontato. Il dialetto diventava allora il mezzo più autentico per rendere questa ambiguità. Ed era anche più poetico, come una canzone d’amore e d’odio dedicata a una terra dura, amorevole, ma anche arcaica e violenta con le sue donne.

La storia si svolge tra il 1906 e il 1923. Più che un racconto sulla Sicilia o sul fascismo, è la storia di tre donne che attraversano il fascismo, la guerra e il dopoguerra. Alcuni lettori potrebbero restare delusi dal fatto che gli eventi storici restino sullo sfondo.
In realtà, il romanzo è una critica profonda: la vita delle donne non era facile, mancava la giustizia, e gli uomini — padri, mariti, fratelli — erano i carcerieri di una prigione senza fine. Uscirne era quasi impossibile, e poche ci sono riuscite. La loro lotta è infinita, e gli alleati scarsi.

Nardina, Sabedda e Carlotta ci provano, ognuna a modo suo, con coraggio e dolore.
Sabedda è una serva nella casa dei Damelio. Sua madre è morta di disperazione, prigioniera di un uomo che l’aveva sequestrata, sposata e stuprata. Non per amore, né per empatia. Sabedda, rimasta orfana, cresce da sola, senza un padre a proteggerla. Come sua madre, non trova nessuno disposto ad ascoltarla o a comprenderla. Gli uomini prendono, senza consenso e senza dolcezza.

Nardina ama suo marito Carlo più di ogni cosa. Giovane e sposata da anni, non riesce ad avere figli. La madre di Carlo la disprezza, ma lui sembra non condividerne il giudizio. Tuttavia, una presenza velenosa incombe: la matrigna, una vipera silenziosa che avvelena tutto ciò che la circonda.

Carlotta è la figlia di Carlo e Nardina. O almeno, così crede. Ma nel suo lavoro al tribunale scopre una denuncia che mette tutto in dubbio. I ricordi la travolgono. Lei vuole sapere. Rimasta orfana, si rivolge al padre adottivo, l’avvocato Calascibetta, che però risponde con l’omertà. Ma lei non si arrende: è pronta a indagare anche da sola.

La relazione tra Carlotta e Zu Peppino è forse la parte più toccante del romanzo: affettuosa, burrascosa, ma piena di un amore silenzioso e profondo, destinato a durare per sempre.

In breve

Un romanzo intenso, che mescola odio e amore. Una storia di donne forti e ferite, intrappolate in un’epoca di regole e prigioni. Chi desidera la libertà deve combattere una battaglia estenuante, spesso senza vittoria.
Un libro che colpisce, emoziona e scuote. E il finale… ruba più di una lacrima.

Notazione

Note : 4.5 sur 5.

Citazione

La minchia siciliana ignorata da Mussolini, da anni per Calascibetta e non solo era invece un chiodo fisso: “autonomia” il suo nome scientifico, “la Sicilia ai Siciliani” la vulgata. Applausi, dissensi, consensi, fumo di sigari e colpi di tosse e intanto una nube di polvere si levava da quel gregge in cammino. Due suore alleggerivano la fatica del passo pregando il rosario. Le signore, i ricci sfatti dal sudore, sventolandosi camminavano in muto sodalizio, attratte l’una all’altra come gocce d’olio nell’acqua, le schiene piegate, i seni come giberne appese al collo.

Riasunto

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Presentazione

Articolo in francese

Tempo di lettura

3–4 minutes

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